La mamma stira, il papà legge il giornale: uno scenario di vita casalinga spesso riportato all’interno dei libri di testo delle scuole elementari.
Una donna che sorride dietro l’asse da stiro, con uno sguardo in più al proprio figlio e uno in meno a quello che sta facendo. Dall’altra parte della stanza invece, un uomo in giacca e cravatta seduto sulla sua poltrona intento a sfogliare un quotidiano.
È un’immagine così facile da visualizzare.
Questo perché anche noi abbiamo studiato da libri che riproponevano scene simili: una mamma casalinga immersa nelle faccende domestiche e nella cura dei bambini e un papà lavoratore che tornava a casa la sera tardi. La classica scena di un film degli anni ’50 insomma…
Tuttavia, anche se il ritorno dell’iconografia della mamma casalinga è sempre dietro l’angolo, ad oggi qualcosa si è smosso.
Siamo nel 1997 quando il Comitato ONU per l’eliminazione delle forme di discriminazione nei confronti della donna ha evidenziato per la prima volta il fatto che i testi scolastici del nostro Paese trasmettessero “stereotipi tradizionali e messaggi di ineguaglianza”.
Da questa giusta contestazione è nato il progetto POLITE per le pari opportunità nei libri di testo: un codice di autoregolamentazione degli editori per ripensare i libri in modo da trasmettere una rappresentazione corretta di donne e uomini.
Nel 2020 è stata presentata una nuova proposta di legge sull’argomento per “promuovere la diversità e l’inclusione nei libri scolastici”.
Una legge necessaria per modificare il bias che si riscontra ancora in molte rappresentazioni di genere presenti nei libri di testo.
Ma attenzione, non si parla solo di immagini, la stereotipia di genere è presente anche nei racconti.
In essi, la maggior parte dei bambini ricopre il ruolo di protagonista mentre le bambine stanno a casa, al massimo danzano o parlano con le amiche – sempre che non siano relegate al ruolo sempreverde di principessa spaventata che aspetta che il principe la salvi dal drago.
Qual è il problema dietro questa visione?
Per noi adulti ben più di uno, per un bambino o una bambina potenzialmente nessuno. Potenzialmente.
Crescere a contatto con immagini come queste porta inevitabilmente all’interiorizzazione del concetto che veicolano e a convincersi che sia giusto così. Soprattutto se i genitori non si prendono la responsabilità di dimostrare ai figli il contrario stimolando da subito un sano pensiero critico.
Risposta: certo che sì.
È ovviamente molto più faticoso del semplice adeguarsi: crescere figli non sessisti significa porre loro e noi stessi di fronte a una sfida. Sfida che ha spesso a che vedere con il sentirsi accettati da un sistema di valori ancora troppo distante da quello al quale ci si ispira.
Faticoso per i genitori perché quelli che scelgono di intraprendere questa strada non possono permettersi il lusso del “è così e basta”. Non è corretto liquidare i propri figli senza dar loro spiegazioni quando, allo stesso tempo, li si incoraggia a fare e farsi domande, a porsi con spirito critico nei confronti del mondo e a chiedersi perché anche la mamma non possa leggere il giornale.
Dall’altro lato è faticoso per i bambini. Una bambina confusionaria e vivace potrebbe scontrarsi con un contesto che la preferirebbe invece composta e disciplinata. Oppure un bambino sensibile e dolce potrebbe risultare “fuori luogo” tra i compagni prepotenti e scapestrati.
Crescere figli non sessisti è un percorso complesso che richiede coraggio e pazienza ma che in cambio dà la grandissima soddisfazione di rendere una persona libera e consapevole.
– Workshop Sidera servizi editoriali e Moviementa (cc): “Equilibri di genere e nuovi canoni nei libri scolastici: dalla teoria alle pratiche”
– 10 in parità: 10 linee guida per promuovere la parità di genere nei libri della casa editrice Zanichelli