Pari è bene, certificati è meglio!

Perché la parità è cosa buona e giusta?

Partiamo a bomba: al di là dei discorsi etici, la parità di genere (come tutti i programmi di inclusione) produce un vantaggio competitivo. Ed è questo il motivo per cui le aziende la sviluppano.

I dati che McKinsey periodicamente diffonde sull’equità di genere, evidenziano che le imprese che si impegnano attivamente in questo tipo di programmi ottengono dei benefici economicamente misurabili, che arrivano fino al 25% di probabilità in più di avere una redditività superiore.

Ci piacerebbe dire che questa migliore performance accada per via della presenza delle donne, ma sarebbe un errore. 

La crescita delle aziende che hanno una migliore rappresentanza di genere nelle posizioni manageriali dipende dagli effetti che la strategia di parità ha prodotto nel suo insieme e sul sistema, e non solo in termini di “quote”.

Avere team eterogenei e ben rappresentativi ha infatti un impatto sull’innovazione, sulla qualità delle decisioni strategiche e sul problem solving. Processi, evidentemente, abbastanza strategici per un’azienda!

Fino qui, la ricerca. Ma la pratica cosa dice

Dice che che lavorare in termini di equità di genere produce valore per tutti, non solo per le donne.

Facciamo un esempio. Un’azienda che intende favorire la conciliazione tra gli ambiti di vita senza che la sfera familiare (la maternità per essere chiare) sia penalizzante rispetto alla crescita e alla carriera, metterà in piedi delle politiche di welfare che saranno un’opportunità per tutte ma anche per tutti, uomini e donne.

 Un’azienda che vuole superare gli ostacoli connessi con la maternità farà in modo che l’esperienza genitoriale non sia un limite e prevederà programmi di supporto ed estensioni in termini di flessibilità che andranno a vantaggio delle mamme, ma anche dei papà. Oppure, riconoscerà che il part time non deve essere un ostacolo alla carriera, ma una delle forme possibili di lavoro senza che rappresenti un handicap per alcuno.

In che modo la certificazione di parità può aiutare?

La certificazione, prima di essere un bollino che produce dei vantaggi in termini di reputazione e di premialità, è un metodo

Rappresenta una linea guida per quelle aziende che si stanno interrogando su come sviluppare programmi che possano riequilibrare i generi in termini non solo di presenza ma anche di opportunità.

Avviare un percorso verso la certificazione permette di monitorare lo stato dell’arte attraverso 6 aree, avere una fotografia dell’as is e costruire una road map verso il to be.

In che modo?

La prassi di riferimento (UNI 125:2002) per la certificazione di genere identifica un set di indicatori che si applicano in misura variabile a partire dalla dimensione dell’impresa, che in maniera molto semplice guidano verso la definizione di una chiara strategia.

Vediamoli nel dettaglio – e nel frattempo fate un esercizio del tipo “ce l’ho, mi manca”.

1. Cultura e strategia

  1. Formalizzazione e implementazione di un piano strategico che possa favorire e sostenere lo sviluppo di un ambiente di lavoro inclusivo e preveda valori aziendali coerenti con una cultura inclusiva;
  2. Presenza di procedure interne che consentono alle risorse di esprimere, anche in modalità anonima, le proprie opinioni e dare suggerimenti per il cambiamento nell’organizzazione e favorire il dialogo e il confronto;
  3. Presenza di attività di comunicazione interna e di sensibilizzazione che promuovano l’utilizzo di comportamenti e di un linguaggio in grado di garantire un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle diversità di genere;
  1. Presenza di politiche che garantiscano che i generi siano equamente rappresentati tra i relatori del panel di tavole rotonde, eventi, convegni o altro evento anche di carattere scientifico;
  2. Realizzazione di interventi formativi a tutti i livelli, compresi i vertici, sulla differenza di genere e suo valore, gli stereotipi e gli unconscious bias;
  3. Realizzazione di b analisi della percezione delle/dei dipendenti sulle pari opportunità;
  4. Realizzazione di interventi finalizzati a promuovere le pari opportunità fuori dal proprio contesto organizzativo, che includano attività di comunicazione e coinvolgimento dei diversi stakeholder sui temi dell’inclusione, della parità di genere e della integrazione.

2. Governance

  1. Definizione nella governance dell’organizzazione di un presidio volto alla gestione e monitoraggio delle tematiche legate all’inclusione, alla parità di genere e integrazione;
  2. Presenza di processi per identificare, approfondire e gestire qualsiasi forma di non inclusività;
  3. Presenza di un budget dell’organizzazione per lo sviluppo di attività a supporto dell’inclusione, della parità di genere e dell’integrazione;
  4. Definizione di obiettivi legati alla parità di genere e loro attribuzione ai vertici e al management, per i quali saranno valutati;
  5. Presenza di esponenti del sesso meno rappresentato nell’organo amministrativo e di controllo della organizzazione.

3. Processi HR

1. Definizione di processi di gestione e sviluppo delle risorse umane a favore dell’inclusione, della parità di genere e dell’integrazione, quali selezione, condizioni generali di contratto, on-boarding neutrali, valutazioni prestazioni;
2. Presenza di meccanismi di analisi del Turnover in base al genere;
3. Presenza di politiche in grado di garantire la partecipazione equa e paritaria a percorsi di formazione e di valorizzazione, con la presenza di entrambi i sessi, inclusi corsi sulla leadership;
4. Presenza di politiche di mobilità interna e di successione a posizioni manageriali coerenti con i principi di un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere;
5. Presenza di meccanismi di protezione del posto di lavoro e di garanzia del medesimo livello retributivo nel post-maternità;
6. Presenza di referenti e prassi aziendali a tutela dell’ambiente di lavoro, con particolare riferimento ed episodi di molestie o mobbing.

4. Opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda

  1. Percentuale di donne nell’organizzazione rispetto alla totalità dell’organico;
  2. Percentuale di donne nell’organizzazione rispetto alla totalità dell’organico rispetto al benchmark dell’industria di riferimento;
  3. Percentuale di donne nell’organizzazione con qualifica di dirigente;
  4. Percentuale di donne nell’organizzazione responsabili di una o più unità organizzative rispetto al totale della popolazione di riferimento;
  5. Percentuale di donne presenti nella prima linea di riporto al Vertice.

5. Equità remunerativa per genere

  1. Percentuale di differenza retributiva per medesimo livello di inquadramento per genere e a parità di competenze;
  2. Percentuale promozioni donne su base annua;
  3. Percentuale donne con remunerazione variabile per assicurare la corresponsione del salario variabile in maniera equa, rendendo note ai lavoratori e alle lavoratrici le procedure e i criteri seguiti nell’attuazione delle politiche retributive per quel che riguarda la parte variabile del salario.

6. Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro

  1. Presenza servizi dedicati al rientro post maternità/paternità;
  2. Presenza di policy dedicate alla tutela della maternità/paternità e servizi per favorire la conciliazione dei tempi di vita personale e lavorativa;
  3. Presenza di policy per il mantenimento di benefit e iniziative che valorizzino l’esperienza della genitorialità come momento di acquisizione di nuove competenze a favore della persona e dell’organizzazione e che tutelino la relazione tra persona e azienda prima, durante e dopo la maternità/paternità;
  4. Rapporto tra il numero dei beneficiari uomini effettivi sul totale dei beneficiari potenziali dei congedi di paternità nei primi 12 anni di vita del bambino obbligatori.

Che fare?

Com’è andato il check “ce l’ho/manca” per la tua azienda?

Vuoi saperne di più? Contattami per un confronto.

Giorgia Ortu La Barbera

Consigliera di Fiducia per Rai, Sapienza e Greenpeace
Consulente per la Diversity, Equity & Inclusion | Psicologa e Coach | Attivista